Sostenibilità

Pieces of Venice: così ridiamo vita alle bricole e tuteliamo Venezia

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di Pierluigi Masini

I milioni di turisti che sbarcano a Venezia ogni anno, vanno via con il cellulare pieno di selfie e più di una lacrima d’amore versata. Ma il loro sogno, il sogno vero, è portarsi via un piccolo pezzo di questa città. A metà dell’Ottocento John Ruskin, non potendo riempire il baule con le pietre di Venezia, le accarezzò, le disegnò, le raccontò quasi una a una nel celebre libro che porta quel nome.

Pezzi di Venezia come souvenir

Più di un secolo e mezzo dopo, nel 2018, un imprenditore con alle spalle tre premi Compasso d’Oro, l’Oscar mondiale del design, decise che sì, in effetti c’erano dei pezzi di Venezia che si potevano portar via per accontentare quell’esigenza di unicità che tanto ci attira nell’epoca del fatto in serie e del digitale. Pezzi di legno di quercia cotti dal sole e dal salmastro, bagnati dall’acqua della laguna e asciugati dal libeccio, che potevano prendere una nuova vita e assumere forme e funzioni inedite, accompagnando il ricordo di un viaggio degno di sopravvivere a qualsiasi schedina di memoria da smartphone.

Quell’imprenditore si chiama Luciano Marson e assieme a sua moglie Karin Friebel hanno dato vita a una Benefit Company che si chiama Pieces of Venice, Pezzi di Venezia appunto.

Un progetto che nasce dall’amore per Venezia, per i suoi materiali, per la sua bellezza.

Spiega Marson. Il legno di recupero è quello delle bricole, pali di quercia singoli, piantati in laguna e usati per legare le imbarcazioni o più spesso legati assieme, a gruppi di tre, con delle catene di ferro e utilizzati per segnare le vie d’acqua.

Le bricole sono destinate a durare un bel po’ di anni, vengono affogate nel sedime fangoso, ma presto nella parte sommersa diventano la casa di un mollusco (il suo nome è terèdine) che scava lunghe gallerie al loro interno e dopo anni di incessante lavoro le rende così fragili da doverle sostituire. La parte superiore, rimasta sopra il pelo dell’acqua, può essere riutilizzata; se non è troppo danneggiata viene lavorata anche quella inferiore, che ha un colore più scuro. E qui è scattata l’idea di recuperare questo legno stagionato per costruire oggetti che portano la firma di noti designer e artisti, da Marco Zito a Giulio Iacchetti, da Matteo Ragni a Lorenzo Palmeri.

Non dei souvenir qualsiasi, i progettisti hanno voluto attribuire un nome e un’anima a ogni oggetto. Il vaporetto è il Tronchetto 33, l’indirizzo del deposito dei batei, come li chiamano i veneziani; il taxi è il San Pietro di Castello 364. Ogni pezzo è un pallino verde sulla mappa di Venezia, prende spunto da un luogo fisico vero. L’ultimo è la vera da pozzo di San Servolo, isola a due passi da piazza San Marco, che si è candidata a diventare un’isola della sostenibilità. Altri oggetti sono da compagnia, emettono suoni, aiutano a inquadrare luoghi, evocano ricordi.

Ma non è finita: c’è una finalità sociale molto chiara, legata alla cooperativa Futura di San Vito al Tagliamento, che occupa una sessantina di persone svantaggiate ed è impegnata in molte fasi di lavorazione di questi pezzi di Venezia, dalla levigatura all’assemblaggio, fino al confezionamento. Inoltre, per ogni prodotto venduto, sopra un certo valore (30 euro), Pieces of Venice ne devolve 3 alla onlus Masegni & Nizioleti, che si occupa di ripulire i muri dei palazzi veneziani dai graffiti e a raccogliere la plastica nei canali.

In questi quattro anni il campionario dei prodotti è cresciuto e ce ne sono oggi più di 20, in vendita online e nei bookshop dei più importanti musei di Venezia. L’ADI, Associazione per il Disegno Industriale, ha attribuito a Pieces of Venice il XXVI Compasso d’Oro 2020 per il progetto di impresa di design per il sociale. Dal gennaio 2020, inoltre, l’azienda è stata riconosciuta come start-up innovativa. «Cerchiamo di infondere l’idea, alle aziende in primo luogo, di fare impresa in direzione green e di preservare i valori delle persone e del territorio», conclude con un sorriso Karin Friebel. Pieces of Venice è uno dei #greenheroes, eroi green, selezionati da Alessandro Gassmann e finiti nel suo libro (e prima nella rubrica settimanale di un importante magazine). La spinta propulsiva di Karin e Luciano, insieme a quella di Annalisa Corrado, propugnatrice dell’associazione Kyoto Club che gira l’Italia a caccia di nuovi testimonial dell’ambientalismo militante, hanno dato una forte accelerazione al modo di intendere il design in serie. Anzi, diciamo che hanno realizzato una fuoriserie. Naturalmente verde.

Il primo pezzo? Un’elica fatta con gli stecchi dei ghiaccioli

Bricole Venezia «Come è nata l’idea? Vuol ridere? Me la porto dentro da quando ero in bambino e a sette anni, d’estate, in colonia, mi divertivo a immaginare aeroplanini che nella mia mente volavano con un’elica costruita con uno stecco di legno del ghiacciolo. Avevo autoprodotto il mio primo pezzo di design».

Luciano Marson sorride a ripensare che finalmente quell’intuizione è diventata realtà. «Ho deciso di metterla sul mercato ma con i valori che mi contraddistinguono: l’uso di materiali di recupero, l’amore per Venezia, l’attenzione per il sociale. E così all’età di 60 anni e più, ho deciso di realizzare questo sogno nel cassetto, sempre puntando sull’industrial design, con una realizzazione in scala industriale poi impreziosita dalle mani dell’uomo».

Karin Friebel è il Ceo di Pieces of Venice, una che sorride sempre e non molla mai. «Fin dall’inizio, però, Luciano voleva andare oltre il legno. Ed è così che ha pensato di utilizzare gli scarti del vetro, le cime dei vaporetti (le corde usate per legarli agli imbarcaderi) e gli scarti della lavorazione dei tessuti. Ci siamo aperti alle varie opportunità», spiega Karin.

«Nei prossimi giorni, in piazza Tricolore a Milano al TDH, presenteremo le nostre prime due collezioni di vetri, opere del collettivo Fucina Frammenti che lavorano sulle materie seconde e realizzeranno il faro di Murano e una collezione dedicata all’abate Zanetti, che ha istituito la scuola del vetro».