Sostenibilità

Regenesi e la bellezza segreta dei rifiuti

Scritto il

di Pierluigi Masini

La Genesi, il primo libro della Bibbia, narra l’origine dell’uomo e del mondo. Ha aggiunto due lettere all’inizio l’azienda bolognese che da 15 anni lavora per ridare vita ai rifiuti: Regenesi crea con materiali di post-consumo e trasforma gli scarti in oggetti esclusivi. Qualche esempio? Vecchie montature di occhiali, ma anche manici di borse o catarifrangenti di biciclette, diventano gioielli. Lattine di alluminio si trasformano in complementi d’arredo firmati da importanti designer. La gomma logora dei campi sportivi viene convertita in tappeti anti-urto per bambini. Con la pelle rigenerata si producono borse trendy. E nel gioco del recupero intelligente sono coinvolti anche grandi brand come Lamborghini e Dainese, che partecipano con ciò che resta della lavorazione delle supercar e delle tute da MotoGp.

L’ultimo prodotto è la borsa Re-Flag dedicata alla protesta delle donne iraniane del movimento “Woman Life Freedom”. Questa versione della bag – creata qualche anno fa con la giornalista Michela Gattermayer – ha i colori rosso e verde della bandiera iraniana e come le precedenti utilizza un tessuto derivato da bottiglie di plastica.

I miei progetti nascono dai materiali di scarto e dare nuova vita è come dare nuove speranze, nuova voce. Mi sento vicina alle donne iraniane e mi onora moltissimo potere contribuire con un sostegno reale e visibile. L’azione concreta per me è come un mantra e ho già scelto più volte di sostenere progetti, iniziative e associazioni proprio in tutela dei diritti delle donne.

Dichiara Maria Silvia Pazzi, fondatrice e anima di Regenesi, affiancata nell’impresa da Alfredo Montanari, professore universitario. Pazzi racconta che l’idea di partenza le venne nel 2008, a Napoli, nel pieno dello scandalo dei rifiuti: lei, già consulente marketing di grandi aziende, con incarichi all’Università di Bologna, pensò che da quella montagna di oggetti buttati via potesse nascere un modello di business rigenerativo per la sua startup.

Nel tempo Regenesi ha sviluppato tre collezioni (casa, ufficio, moda) e si è strutturata con un advisory board che ha portato competenze, capitali e un invidiabile network di conoscenze. Questo ha permesso alla giovane realtà emiliana di fare un salto di qualità. Il logo scelto è un baco che si trasforma in farfalla, e la farfalla Regenesi è volata lontano, a Shanghai per l’Expo e poi in Brasile, al Centre Pompidou di Parigi e sulle pagine del New York Times. Tutto in nome della certificazione “Remade in Italy”, che caratterizza il suo impegno e le ha fatto vincere pochi mesi fa il “Sustainable Fashion Award” della Monte-Carlo Fashion Week.

Regenesi produce oggetti con il Re-davanti. Come il filato Reach Cl 1, con certificazione GRS, alla base della collezione Metamorphosis (il prefisso sarebbe stato di troppo). Dal riciclo di bottiglie in plastica è nato un velluto per tre borse – una hobo, una flap e una saddle, in versione mini e midi – realizzate senza l’aggiunta di parti metalliche per poter essere facilmente disassemblate. Re-Mind è invece il nome della prossima collezione primavera-estate: un invito a non dimenticare quali sono le nostre priorità che parte da un tessuto costruito per l’80% in cotone ricavato dalla rigenerazione degli scarti di capi di abbigliamento. È servito per realizzare shopper, zaini e tote-bag, eliminando il processo di tintura, e risparmiando così migliaia di litri d’acqua. Infine Re-Bon, il beauty da viaggio che porta con orgoglio la sua storia scritta sopra: «I was 6 bottles».

Rispetto: per lambiente e le persone

Maria Silvia Pazzi ama le sfide.

Il mio nuovo progetto con i cappelli di chiama Re-Cap. Il prefisso Re- mi accompagna da tempo, in quello che faccio è tracciata una strada che guarda avanti, al nostro futuro. E al tempo stesso si delinea un movimento a ritroso, dare nuova vita a oggetti che non servono più. Inoltre, nelle mie creazioni il guardare avanti si riferisce non solo al preservare il meraviglioso ambiente naturale, ma anche a un concetto di fluidità di genere. Un tema che a sua volta racchiude concetti fondamentali. Uno tra tutti: il rispetto.

I suoi progetti si evolvono e tra le sue ultime creazioni troviamo appunto dei copricapo, una cloche e un baseball cap in velluto e un fedora in panno. Il tutto ricavato dalla lavorazione delle bottiglie di plastica.

Immagino una moda maschile sempre più fluida, smart e sostenibile – continua Pazzi. – Una moda no-gender, multifunzione e rispettosa delle persone e del pianeta, che interpreti sempre più la libertà di espressione, di movimento e di socialità. Oggetti senza tempo e di qualità che possano vivere nel guardaroba maschile per anni, non mesi.